In “Le Fenicie” il coro
è composto da donne straniere che sono estranee ai fatti della vicenda e
assistono semplicemente commentando ciò che accade senza intervenire
Nelle opere più antiche
il coro ha un'importanza fondamentale e interagisce spesso con gli attori (come
nella tragedia “I Sette contro Tebe di Eschilo). Col passare del tempo però
esso iniziò ad avere un ruolo minore, infatti nelle ultime tragedie di Euripide
è spesso tagliato fuori dall'azione.
Le donne che compongono
il coro non solo non fanno parte della collettività tebana, ma addirittura non
appartengono al mondo greco, infatti si tratta di giovani non sposate venute a
Tebe dalla città fenicia di Tiro.
Lo scrittore Hermann
riteneva che gli Agenoridi avessero mandato a Delfi un gruppo di fanciulle
libere, le più belle della loro città, come offerta per la vittoria in una guerra
che non viene nominata. L’interpretazione di Hermann comporta inoltre la
necessità di dare il senso generico di “offerta per una guerra”, teoria che
Pearson cercò di sostenere facendo riferimento al passo del poeta
Pindaro, che vede Eracle che istituisce la festa Olimpica come offerta per la
vittoria nella guerra.
La scelta dell’utilizzo
della componente corale non ha fatto mancare critiche per il fatto Euripide
abbia cercato nuovi modi per usare questa componente, che è caratteristica
della rappresentazione tragica.
Ci fu anche un dibattito
sulla questione della partecipazione del e sul giudizio espresso da Aristotele,
che pensa che il coro debba essere considerato come uno degli attori e deve
realmente partecipare all’azione.
I fattori che fanno delle
donne fenicie uno dei gruppi corali euripidei meno integrati rispetto alla
collettività cui appartengono i personaggi principali del dramma sono il sesso
femminile, la giovane età, la provenienza straniera e la presenza casuale a
Tebe.
“Foinissai” inoltre era
il titolo di una tragedia del tragediografo ateniese Frinico, che aveva un coro
di donne fenicie.
In Frinico però il coro
è inserito nel contesto persiano del dramma, al contrario del dramma tebano
euripideo.

La motivazione che ha
spinto Euripide a voler dissociare il coro dalla collettività tebana è che la
scelta di un coro non cittadino permetteva di trascurare la reazione della
comunità di fronte al comportamento di una stirpe regale che conduce la città
sull’orlo della rovina.
Un coro straniero che
non si preoccupa per la propria sopravvivenza e che non è coinvolto nelle
emozioni dei personaggi può guardare la vicenda con una chiave diversa rispetto
a quella dei protagonisti e con una prospettiva più oggettiva.
Inoltre la presenza
delle Fenicie nella vicenda drammatica permette di creare un effetto di
straniamento nella scena in cui Polinice, tornando in patria da esule e anche
da nemico, viene accolto davanti alla propria casa non da sue concittadine, ma
da un gruppo di straniere.
In questo punto della
vicenda si nota il capovolgimento dei fatti: solitamente abitanti del luogo
accolgono un forestiero. Qui invece colui che arriva da fuori appartiene in
realtà alla città e viene accolto, proprio davanti alla sua casa, da gente
estranea.
• Nelle “Troiane” un
coro di prigioniere troiane, compagne della protagonista Ecuba, si trova nel
campo greco a Troia, quindi ancora nella propria terra.
• Nell’Ifigenia in
Tauride il coro è costituito da donne greche prigioniere del re dei Tauri,
quindi in terra straniera, ma il ruolo di serve di Artemide nel tempio in cui è
sacerdotessa Ifigenia permette loro di partecipare alla vicenda.
• La stessa condizione è
presente nel ruolo del coro dell’Elena, costituito da donne greche prigioniere
di Teoclimeno, in Egitto.
• Nelle Fenicie Euripide
rovescia la situazione dell’Ifigenia e dell’Elena.
In questo caso infatti
invece di donne greche schiave in terra straniera si ha un gruppo di schiave
fenicie in terra greca.
La conseguenza è che,
poiché tutti i personaggi del dramma sono tebani, c’è molta meno possibilità di
sintonia e partecipazione tra questi ultimi e il coro.
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