martedì 9 maggio 2017

Siracusa 2017

In occasione del viaggio di istruzione a Siracusa per le rappresentazioni classiche al teatro greco ,  gli studenti della V B e della V Alpha del Liceo Gioberti di Torino  offrono agli interessati le loro ricerche . Il lavoro si propone come una guida per poter godere pienamente della visita della città e, in particolare, assistere consapevolmente ai due spettacoli proposti quest'anno dall'INDA: I Sette a Tebe di Sofocle e Le fenicie di Euripide.

Le tematiche, proposte in etichetta, sono le seguenti:
  • Storia di Siracusa
  • Parco Archeologico 
  • Museo Paolo Orsi
  • Numismatica
  • Ortigia e la sua architettura
  • La tragedia: origine e funzione
  • Il teatro: luoghi, modi e occasioni
  • Il mito dei labdacidi: Edipo
  • Il mito dei labdacidi: Antigone
  • I sette a Tebe di Sofocle
  • Le fenicie di Euripide

QUESTO BLOG E' STATO REALIZZATO GRAZIE ALL'ATTENZIONE E ALL'IMPEGNO DEI SEGUENTI STUDENTI:
BASILE VIRGINIA, BOIDO ELENA BIANCA, CANTONO VIGINIA, CAPUTO MARIANNA , DEALESSI VIRGINIA, DELISE AURORA,  DI MITRI MARGHERITA ,  EL BERRAH KALTOUM,  FLORIS MATTIA, GRANERI EMANUELE,  KRATTER ZOE, LIVANI PIERLUIGI , LOPRESTI CARLOTTA, LOVERA ELENA, MILLETARI' MARTINA, NEGRO VALENTINA, PAVIA FILIPPO, PEPE MATTEO, PEROTTI MARTA, POLESE LORENZO MARIA, ROMANO ALBERTO, SERIO GABRIELE, STRAFILE MATTIA , AFFUBINE ELENA, BERTO FRANCESCO, CAPRA VERONICA, DEMARIA LORENZO, ENDER MARTINO ETTORE, FILONI GIAN MARIA, GIANNI FRANCESCO,  MARCHIONE ANNA, MARTIN MORAN LUCIA, MATTIS REBECCA, MILANESE MARGHERITA, NANI ELENA, NEGRINI NICOLO' , QUAGLINO BEATRICE, RECANO ALESSIA , SALERNO ANGELICA , SOCCAVO FRANCESCO,VERCELLI TOMMASO, ZANGRANDI FRANCESCA 

Le fenicie

"Le fenicie" è una delle tragedie di Euripide e tratta un episodio del ciclo tebano.  L'argomento è lo stesso della tragedia di Eschilo "i Sette contro Tebe", cioè il contrasto tra due fratelli, Eteocle e Polinice, entrambi figli di Edipo. 
L'opera venne rappresentata per la prima volta ad Atene tra il 410 e 409 a.C., poco dopo un colpo di Stato oligarchico. In quel periodo Atene stava affrontando un periodo di crisi, indebolita dalla Guerra del Peloponneso.
Euripide ha scelto di mettere in scena un'opera che rappresenta un invito alla concordia proprio in questo periodo complesso, per invitare tutti i cittadini a evitare che anche Atene potesse essere colpita da sventure simili a quelle del mito tebano. Infatti gli episodi della tragedia hanno come sfondo lo scontro tra tirannia e democrazia e pare evidente il messaggio di Euripide: salvaguardare la democrazia mettendo da parte gli egoismi che caratterizzano i personaggi del suo dramma e che porteranno a disastri.



La tragedia  prende il titolo da un gruppo di donne straniere, che costituiscono il coro: si tratta di un gruppo di schiave fenicie inviate da Tiro al santuario di Delfi e bloccate dalla guerra mentre transitavano da Tebe. 
Giocasta in funzione di prologo racconta una sintesi delle vicende antecedenti, cioè la maledizione di Edipo. Concluso il racconto, il coro svolge il suo primo intervento: quando arriva Polinice e interroga le donne del coro per conoscere la loro provenienza, Giocasta lo vede e lo accoglie. Poi Polinice racconta la profezia di Apollo che ha spinto Adrasto a fargli sposare la figlia: l'oracolo aveva predetto che le due figlie del re sarebbero andate in sposa ad un cinghiale e ad un leone. Polinice e Tideo, figlio di Oineo, erano arrivati profughi alla casa di Adrasto, che vedendoli contendere una pelliccia di animale per coprirsi, li aveva associati alla profezia. Adrasto aveva giurato ai due generi di riportarli in patria. Polinice aveva ottenuto in questo modo l'esercito che stava assediando Tebe.
Quando arriva Eteocle, Giocasta apre la discussione tra lui e Polinice.
Polinice dice di essere disposto a togliere l'assedio se Eteocle gli cederà il trono, ma Eteocle rifiuta. Eteocle scaccia Polinice minacciandolo di morte e Polinice a sua volta promette la guerra. Eteocle incontra Creonte (fratello di Giocasta). I due discutono della strategia militare per il combattimento e Creonte gli dice che l’esercito di Polinice intende dividere le proprie forze in sette gruppi perché attacchino le sette porte di Tebe.
Intanto l'indovino Tiresia dice l’unico rimedio possibile per salvare Tebe  è necessaria l’uccisione di Meneceo, figlio di Creonte. Meneceo finge di accettare ma poi si suicida.
Dopo un primo attacco da parte di Polinice i due fratelli vogliono risolvere la questione tra loro, e si uccidono a vicenda.
Giocasta si suicida sui loro cadaveri con una delle loro spade.
La conclusione del duello però non è stata accettata dai belligeranti come conclusione della guerra, perchè nessuno dei due aveva riportato la vittoria.
“Le Fenicie” è una tragedia corale, che presenta molti personaggi, e nessuno di loro può veramente definirsi protagonista della storia. In questo modo, Euripide non approfondisce la psicologia di ogni personaggio, preferendo presentarli in una situazione di gruppo. Si tratta di un gruppo la cui sorte è segnata: Eteocle e Polinice sono entrambi irremovibili nelle loro motivazioni e, rifiutando qualsiasi accordo finiscono per morire entrambi.
Alla fine della tragedia tutti i personaggi sono morti o esiliati (con l'eccezione di Creonte, re di Tebe) e lasciano la scena vuota e abbandonata.

Per approfondire: Il mito antico che ci racconta il presente


IL RUOLO DEL CORO


In “Le Fenicie” il coro è composto da donne straniere che sono estranee ai fatti della vicenda e assistono semplicemente commentando ciò che accade senza intervenire
Nelle opere più antiche il coro ha un'importanza fondamentale e interagisce spesso con gli attori (come nella tragedia “I Sette contro Tebe di Eschilo). Col passare del tempo però esso iniziò ad avere un ruolo minore, infatti nelle ultime tragedie di Euripide è spesso tagliato fuori dall'azione.
Le donne che compongono il coro non solo non fanno parte della collettività tebana, ma addirittura non appartengono al mondo greco, infatti si tratta di giovani non sposate venute a Tebe dalla città fenicia di Tiro.
Lo scrittore Hermann riteneva che gli Agenoridi avessero mandato a Delfi un gruppo di fanciulle libere, le più belle della loro città, come offerta per la vittoria in una guerra che non viene nominata. L’interpretazione di Hermann comporta inoltre la necessità di dare il senso generico di “offerta per una guerra”, teoria che Pearson  cercò di sostenere facendo riferimento al passo del poeta Pindaro, che vede Eracle che istituisce la festa Olimpica come offerta per la vittoria nella guerra.

La scelta dell’utilizzo della componente corale non ha fatto mancare critiche per il fatto Euripide abbia cercato nuovi modi per usare questa componente, che è caratteristica della rappresentazione tragica.
Ci fu anche un dibattito sulla questione della partecipazione del e sul giudizio espresso da Aristotele, che pensa che il coro debba essere considerato come uno degli attori e deve realmente partecipare all’azione.
I fattori che fanno delle donne fenicie uno dei gruppi corali euripidei meno integrati rispetto alla collettività cui appartengono i personaggi principali del dramma sono il sesso femminile, la giovane età, la provenienza straniera e la presenza casuale a Tebe.

“Foinissai” inoltre era il titolo di una tragedia del tragediografo ateniese Frinico, che aveva un coro di donne fenicie.
In Frinico però il coro è inserito nel contesto persiano del dramma, al contrario del dramma tebano euripideo.


La motivazione che ha spinto Euripide a voler dissociare il coro dalla collettività tebana è che la scelta di un coro non cittadino permetteva di trascurare la reazione della comunità di fronte al comportamento di una stirpe regale che conduce la città sull’orlo della rovina.
Un coro straniero che non si preoccupa per la propria sopravvivenza e che non è coinvolto nelle emozioni dei personaggi può guardare la vicenda con una chiave diversa rispetto a quella dei protagonisti e con una prospettiva più oggettiva.
Inoltre la presenza delle Fenicie nella vicenda drammatica permette di creare un effetto di straniamento nella scena in cui Polinice, tornando in patria da esule e anche da nemico, viene accolto davanti alla propria casa non da sue concittadine, ma da un gruppo di straniere.
In questo punto della vicenda si nota il capovolgimento dei fatti: solitamente abitanti del luogo accolgono un forestiero. Qui invece colui che arriva da fuori appartiene in realtà alla città e viene accolto, proprio davanti alla sua casa, da gente estranea.


CONFRONTO DEL RUOLO CORALE NELLE ALTRE TRAGEDIE EURIPIDEE


• Nelle “Troiane” un coro di prigioniere troiane, compagne della protagonista Ecuba, si trova nel campo greco a Troia, quindi ancora nella propria terra.
• Nell’Ifigenia in Tauride il coro è costituito da donne greche prigioniere del re dei Tauri, quindi in terra straniera, ma il ruolo di serve di Artemide nel tempio in cui è sacerdotessa Ifigenia permette loro di partecipare alla vicenda.
• La stessa condizione è presente nel ruolo del coro dell’Elena, costituito da donne greche prigioniere di Teoclimeno, in Egitto.
• Nelle Fenicie Euripide rovescia la situazione dell’Ifigenia e dell’Elena.
In questo caso infatti invece di donne greche schiave in terra straniera si ha un gruppo di schiave fenicie in terra greca.

La conseguenza è che, poiché tutti i personaggi del dramma sono tebani, c’è molta meno possibilità di sintonia e partecipazione tra questi ultimi e il coro.

lunedì 8 maggio 2017

LA SAGA DEI LABDACIDI

La famiglia reale dei Labdacidi, dal nome di Labdaco, nipote di Cadmo (fondatore di Tebe), occupa un posto importante nel Ciclo Tebano, che espone l'orrenda sorte di una famiglia maledetta e contaminata da una colpa originaria. Edipo è la figura dominante di questa saga, protagonista di una tragedia di Eschilo perduta, oltre che dei due famosissimi drammi di Sofocle, Edipo re ed Edipo a Colono. 

EDIPO
Edipo era figlio di Laio, che era figlio di Labdaco. Laio sposò Giocasta, figlia di Meneceo e sorella di Creonte. La coppia non riusciva ad avere figli. Allora, il re si recò presso l’oracolo e l’oracolo gli predisse che questo figlio sarebbe nato, ma avrebbe portato grande sventura nel regno perché avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la madre.
Laio, dunque, se ne stava  lontano dalla moglie che desiderava moltissimo un figlio. Una sera, Giocasta passò la notte con lui. Quando il re scoprì che la regina era incinta, cominciò a pensare a come disfarsi del nascituro che rappresentava la sua morte e la fine del regno. Non appena il piccolo venne alla luce, gli perforò i piedi, fece passare una catena nei buchi e legò i due piedi insieme. Poi ordinò al suo fedele pastore di condurre il piccolo nelle foreste del Monte Citerone, dove sarebbe morto di fame o di freddo, o forse, divorato da qualche animale feroce. Ma il pastore, mosso a pietà, invece di abbandonarlo nelle foreste, lo affidò ad un servo di Polibo, re di Corinto, senza dire chi fosse il piccolo. Dei mercanti portarono il piccolo a Polibo e sua moglie che lo adottarono. La regina, Merope, diede al piccolo il nome di Edipo, che significa “dai piedi gonfi”, poiché i suoi piedi si erano gonfiati  quando Laio li aveva bucati per farci passare la catena.

Il ritrovamento di Edipo

IL DESTINO DI EDIPO
Edipo quindi visse e diventò un uomo forte e scaltro sotto la tutela di Polibo e Merope, che egli credeva fossero i suoi veri genitori, fino al giorno in cui, una persona che voleva insultare Edipo, gli disse che era un figlio illegittimo e che i reali di Corinto non erano realmente i suoi genitori. Edipo si recò allora  all’oracolo di Delfi per sapere la verità. L’oracolo fu impenetrabile, ma gli rivelò ugualmente che il suo destino era quello di uccidere suo padre e sposare sua madre, e che sia lui che i suoi discendenti, sarebbero stati fonte di grandi sventure. Non avendo appreso nulla sulle sue vere origini, Edipo continuò a trattare i reali di Corinto come i suoi veri genitori e decise di andarsene lontano da Corinto per evitare il suo destino. Cominciò a girovagare e, una volta,  giunse in un luogo dove vi era un cocchio vigilato da uomini armati. Si trattava di Laio, che si stava recando a Delfi per chiedere all’oracolo che fine avesse fatto suo figlio, poiché era costantemente tormentato dall’incertezza sulla sua fine, non avendo mai avuto riscontro della sua morte. Si scatenò una lite quando gli uomini armati ordinarono allo straniero di scansarsi per lasciar passare il cocchio, così Edipo si scontrò con le guardie ed uccise tutti, compreso Laio; un solo soldato restò vivo perché riuscì a fuggire.

EDIPO SUL TRONO DI TEBE
Edipo risolve l'indovinello della  Sfinge
A Tebe  dopo la morte di Laio, regnavano Giocasta e suo fratello Creonte. Intanto aveva fatto la sua apparizione a Tebe la Sfinge, un terribile mostro che terrorizzava tutti i passanti sottoponendoli ad un indovinello e divorando quelli che non sapevano risolverlo. Creonte annunciò che chiunque avrebbe risolto l’indovinello e liberato Tebe dalla Sfinge, sarebbe diventato re sposando sua sorella la regina.
Edipo giunse a Tebe e, saputo della Sfinge, decise di provare la sua fortuna. L’indovinello era il seguente: “Quale creatura della terra ha quattro gambe, poi due e poi tre, e più gambe ha più è debole” Edipo risolse l’indovinello rispondendo che quella creatura era l’uomo che cammina a quattro gambe quando è piccolo, a due quando è adulto e a tre, usando un bastone, quando è vecchio. Alla soluzione dell’indovinello, la Sfinge si gettò dalla rupe e morì. 
Edipo quindi divenne re e sposò Giocasta, della quale egli ignorava l’identità. Quello di Edipo fu un regno pacifico, fino a quando non scoppiò una terribile pestilenza che causò moltissimi lutti. Edipo inviò, dunque, a Delfi, Creonte, affinché chiedesse all’oracolo quale fosse stata la causa dell’epidemia e come poterla combattere. La risposta fu che Tebe sarebbe stata salva solo se fosse stato allontanato l’assassino di Laio.


                        Edipo e la sfinge (vaso attico da Tebe, inizi del v sec. a.C., Parigi, Louvre)
Per mezzo dell’indovino Tiresia, Edipo venne, a sapere la verità sul suo fato e sull’uccisione di Laio. Le parole dell'indovino erano sempre state accettate in tutta la Grecia, ma, inizialmente, Edipo cominciò a dubitarne, pensando più che altro ad una congiura da parte di Creonte. Poi pensò di tornare a Corinto, ma fu trattenuto dal ricordo della parole dell’oracolo che gli aveva predetto che avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Ma non molto tempo dopo, gli giunse la notizia della morte di Polibo e la richiesta da parte del popolo di succedere sul trono di Corinto. Edipo, però, rifiutò per timore di vedere avverata la seconda parte della profezia, quella in cui lui avrebbe dovuto sposare sua madre. Il messaggero che gli aveva portato la notizia gli disse di non temere, in quanto egli non era figlio legittimo di Polibo e nessuno poteva esserne più sicuro di lui, poiché egli stesso lo aveva condotto a Corinto, ancora neonato. Venne poi ritrovato il pastore che salvò la vita al neonato, ed il suo racconto fece luce sulle cicatrici che si vedevano ancora sui piedi di Edipo, provando ciò che realmente era accaduto. A quel punto, Edipo capì che aveva veramente ucciso suo padre e sposato sua madre. Giocasta, presa dall’orrore per quanto accaduto, si ritirò nelle sue stanza e si uccise impiccandosi. Edipo la seguì, e quando la vide, prese un fermaglio dalle sue vesti e si accecò .
Edipo accecato, dall'Edipo re di Pasolini
 Chiese a Creonte di accompagnarlo fuori dalla città e lo implorò  di prendersi cura delle sue due figlie, Antigone ed Ismene. Quindi, Edipo giunse come supplicante a Colono, in Attica, dove Teseo gli diede ospitalità: Edipo finì i suoi giorni in Attica, portando, come aveva predetto un altro oracolo, molti benefici alla città in cui morì.

IL FIGLI DI EDIPO
Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene erano legati alla maledizione dell’incestuosa relazione tra il loro padre e sua madre Giocasta. Tutti ebbero una sorte tragica ed i maschi furono maledetti dal loro proprio padre per la crudeltà nei suoi confronti durante gli ultimi momenti della sua infelice esistenza.

“Thule Italia” :http://thule-italia.com/wordpress/la-famiglia-reale-dei-labdacidi-edipo-prima-parte/
http://thule-italia.com/wordpress/la-famiglia-reale-dei-labdacidi-edipo-seconda-e-ultima-parte/
SETTE CONTRO TEBE- Ἑπτὰ ἐπὶ Θήβας

I sette a Tebe, Siracusa 2017
La tragedia greca è un genere teatrale nato nell'antica Grecia la cui messa in scena era, per gli abitanti della Atene classica, una cerimonia di tipo religioso con forti valenze sociali. I sette contro Tebe è una tragedia di Eschilo, rappresentata per la prima volta ad Atene alle Grandi Dionisie del 467 a.C. L'opera si inserisce all'interno del cosiddetto Ciclo tebano, ed è la terza ed ultima parte di una trilogia legata, ossia di una sequenza di tre tragedie che raccontavano un'unica lunga vicenda.

ESCHILO  525 a.C- 456 a. C.
 E’ un drammaturgo greco antico. Viene considerato l'iniziatore della tragedia greca nella sua forma completa. È il primo dei poeti tragici dell'antica Grecia di cui ci siano pervenute opere per intero: delle sue tragedie, che erano più di 90, ne conosciamo sette: I Persiani, I sette contro Tebe, Le supplici, Prometeo incatenato ed Orestea, che comprende Agamennone, Coefore, Eumenidi.

ANTEFATTO
Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il potere sulla città di Tebe: avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono. Eteocle, tuttavia, allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto, sicché Polinice, con l'appoggio del re di Argo Adrasto, aveva dichiarato guerra al proprio fratello ed alla propria patria.

Carta della Beozia antica
TRAMA
All'inizio del dramma, Eteocle rincuora la popolazione preoccupata per l'imminente arrivo dell'esercito nemico. Arriva un messaggero ad informarlo che gli uomini di Polinice sono nei pressi della città, ed hanno deciso di attaccare le sette porte della città di Tebe con sette dei loro più forti guerrieri. È quindi necessario che Eteocle scelga a sua volta sette guerrieri da contrapporre a quelli nemici, ognuno a difendere una porta.
Ricevuta la notizia, il coro di giovani tebane reagisce con paura, ma Eteocle le rimprovera. Torna il messaggero e riferisce che i sette guerrieri nemici, tirando a sorte, hanno deciso a quale porta ciascuno sia assegnato. Eteocle viene informato sul nome e sulle caratteristiche principali di ognuno, in modo da potergli contrapporre  un proprio guerriero. Quando il messaggero nomina il settimo guerriero, che è il fratello Polinice, Eteocle capisce di essere destinato allo scontro con lui, e che probabilmente nessuno dei due ne uscirà vivo, ma non si tira indietro, malgrado il coro cerchi di dissuaderlo.
Le giovani donne del coro, in attesa di notizie sull'esito della battaglia, cantano con  paura. Al termine del canto arriva il messaggero. Questo informa che sei delle sette porte di Tebe hanno tenuto:  l'attacco è stato respinto. Alla settima porta, però, i due fratelli Eteocle e Polinice si sono uccisi l'un l'altro, come tutti temevano. A questa notizia, la felicità per la battaglia vinta passa in secondo piano: vengono portati in scena i cadaveri dei due fratelli, ed il coro piange la loro triste morte.

Antigone (Frederic Leighton1830-1896)
In un'ultima scena entrano le sorelle di Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene, ed un araldo, che annuncia che il nuovo re di Tebe, Creonte, ha deciso di seppellire il corpo di Eteocle, ma, per disprezzo, non quello di Polinice. Antigone, sentita la notizia dichiara che farà di tutto perché anche l'altro fratello abbia degna sepoltura.

Gli studiosi sono divisi su questa parte del testo. Alcuni la ritengono un'aggiunta posteriore alla stesura di Eschilo, inserita con l’intenzione di raccordare l’opera di Eschilo con l’Antigone di Sofocle, di cui essa annuncia il contenuto: la fanciulla, infatti, disobbedendo a Creonte, volle seppellire degnamente Polinice, ma il re, dopo averla scoperta, decise di farla murare viva. Il luogo della sepoltura rimase segreto e venne scoperto solo alcuni giorni dopo, quando la fanciulla era ormai morta. Altri ritengono invece che sia originale e che Eschilo l’abbia voluta per riassumere e raccogliere in questa tragedia il destino dell’intera stirpe dei Labdacidi, a conclusione definitiva della trilogia in cui  ne ha voluto tracciare la parabola fino alla definitiva e totale distruzione.

miriamgaudio.blogspot.com/2014/01/i-sette-tebe-eschilo-riassunto-ed.html

http://www.sapere.it/enciclopedia/S%C3%A8tte+c%C3%B3ntro+T%C3%A8be,+I-.htm

                        SETTE CONTRO TEBE :  approfondimenti
 GLI SCUDI
Come in Omero per Achille, la presentazione dei sette guerrieri descrive minuziosamente l’armamento, in particolare lo scudo e le sue decorazioni.
Il giuramento dei sette capi ( di Alfred j. Church)
1.      Lo scudo di Tideo ha un cielo stellato e una grande luna piena; il suo scudo è definito superbo dal messaggero. Lo scudo di Tideo è una minaccia, una minaccia di morte. Tideo pensa di essere al di sopra di tutto, di poter dare la morte impunemente. E' questa la sua hybris, la presunzione di andare oltre il limite, e gli si ritorcerà contro, come previsto da Etèocle.

2. Lo scudo di
Capaneo. Il bestemmiatore ha sullo scudo un uomo nudo con una torcia in mano con la scritta "Brucerò la città". Nel mito greco quelli come lui sono i nemici degli deida sconfiggere. Capaneosi crede superiore agli dei. Contro di lui, Eteocle manda Polifonte.

3. Lo scudo di Eteoclo. Sull'arma c'è un uomo che scala le mura e una scritta che dice che neppure Ares riuscirà a buttarlo giù. Lo scudo è simile a quello di Capaneo, e la bestemmia è simile.

Gli scudi dei guerrieri da un vaso corinzio
4. Lo scudo di Ippomedonte. E' lo scudo più blasfemo: in esso è rappresentato Tifone, il nemico degli dei. Contro di lui Eteocle sa che agirà per prima Atena in persona, e poi l'eroe tebano Iperbio, che sul suo scudo ha Zeus, il distruttore di Tifone.

5. Lo scudo di
Partenopeo. Il suo scudo ha l'immagine della Sfinge che ha tra le grinfie un tebano; il ragazzo crudele spera che le frecce dei difensori colpiscano il disegno del tebano, così che per una magia i difensori si indeboliscano da soli. Contro di lui Eteocle manda Attore fratello di Iperbio.

6. Lo scudo di
Polinice. Sul suo scudo "nuovo, perfetto e rotondo" c'è un guerriero condotto da una donna, ovvero Dike, la Giustizia; una scritta dice "Condurrò questo guerriero”. Contro di lui andrà Eteocle, perché questo è il destino dei maledetti discendenti di Laio.

7. Lo scudo di Anfiarao. Il suo scudo è privo d'insegna "perché non vuole apparire, ma essere valoroso". Anfiarao è l'unico a mettere in imbarazzo Eteocle, perché non è uno dei nemici arroganti e violenti, è un avversario saggio e valoroso. Eteocle lo rispetta, e manda contro di lui Lastene.

I Sette,quindi,  attraverso i loro scudi, mostrano tutta la loro tracotanza; solo Anfiarao non mostra nulla, perchè sa che la spedizione è condannata in partenza dagli dei proprio per la sua malvagità.

IL PERSONAGGIO DI ETEOCLE

Eteocle e polinice, dipinto di Tiepolo


Domina la tragedia il personaggio di Eteocle, che si dimostra una guida molto sicura per la propria città, ma anche un sovrano molto solo. All'inizio dell'opera lui appare come un buon re, pronto a tutto per rincuorare la cittadinanza preoccupata, e disposto a sgridare le donne del coro che appaiono troppo spaventate. Il popolo appare profondamente legato al suo re, ed il sentimento è reciproco.
Il personaggio ha poi un forte cambiamento di atteggiamento: quando vede che ad attaccare la settima porta della città ci sarà suo fratello Polinice, Eteocle comprende che i due sono destinati a scontrarsi. Il loro duello, insomma, è volontà degli dei e cercare di evitarlo sarebbe più che inutile. Viene allora colto da una rabbia incontenibile e si avvia verso il proprio destino. Non servono a nulla le richieste del coro, che per dissuaderlo gli espongono subito la possibilità che i due fratelli si uccidano a vicenda; Eteocle non ha bisogno di avvertimenti, poiché ha già capito che questo è ciò che il fato ha deciso per la sua famiglia.
Gli dei dunque puniscono chi trasgredisce le loro leggi e il destino è la punizione divina che si abbatte sul colpevole; ma l’uomo sceglie la propria sorte, proprio come Eteocle sceglie di affrontare il fratello: il destino e le responsabilità individuali si intrecciano fino a coincidere.

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D. Del Corno, "Letteratura greca", Principato, 1992

Antigone di Sofocle

Antigone è il personaggio principale della tragedia Antigone di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad Atene alle Grandi Dionisie del 442 a.C.

Trama dell’Antigone di Sofocle
All’indomani della reciproca morte di Eteocle e Polinice il nuovo re di Tebe, Creonte, ha ordinato che il primo, difensore della città, sia onorato della sepoltura, e che invece il corpo di Polinice sia abbandonato agli animali da preda.
Antigone, loro sorella, trasgredisce l’ordine del re, pur sapendo che ciò potrebbe comportarle la morte, e onora della sepoltura il fratello.
Arrestata, non mostra pentimento del proprio gesto, anzi si oppone fieramente a Creonte e al suo empio bando, per cui viene condannata a morte.

Inutilmente Emone, figlio di Creonte e promesso sposo della fanciulla, tenta di far recedere il padre da quanto stabilito nel suo editto. Altrettanto vano risulta un analogo intervento del vate Tiresia. Infine, il coro riesce a far breccia nell’animo del re, ma troppo tardi: recatosi nella caverna dove Antigone era stata rinchiusa, Creonte trova che la fanciulla ha anticipato la morte per fame impiccandosi. Emone, folle di rabbia, tenta il parricidio, ma poi si suicida sul cadavere della promessa sposa, Antigone; Euridice, consorte del re, prostrata dal dolore, si uccide anch’essa.
CONTENUTO ETICO ANTIGONE

L’Antigone di Sofocle fu rappresentata nel 442 a.C. Il nucleo attorno al quale si svolge lintera tragedia consiste nella volontà da parte di Antigone di seppellire in patria il cadavere del fratello Polinice, colpevole di aver provocato una guerra.
Il bando di Creonte è uno spartiacque che obbliga i personaggi a mostrare il loro comportamento.
Sofocle in questopera ha inserito notevoli riferimenti religiosi,morali e politici, che si trovano nella figura del protagonista.
Egli visse sotto il comando di Pericle ,periodo in cui nacquero i primi tragediografi: Eschilo,Euripide e lui stesso.
Atene con Pericle raggiunge la sua acme politica, artistica ed economica. Accanto a un problematico persistere di certezze e valori propri della generazione passata, prendono piede visioni del mondo diverse e Pericle stesso concede ampio spazio a queste nuove tendenze.
Sofocle proclama la grandezza delluomo ingegnoso, ma ne sottolinea i limiti e afferma la necessita di seguire le leggi umane e la giustizia divina per vivere in una grande città. Egli dà a Creonte lappellativo di stratega in luogo del più usuale «re» o «tiranno», fa forse un implicito riferimento a Pericle e invita quindi il pubblico, con questo segnale, a rapportate le vicende del dramma alla situazione attuale.
Il bando di Creonte nasce da unintenzione almeno inizialmente accettabile: egli vuole mostrare il diverso trattamento che amici e nemici della patria avranno sotto il suo regno. Egli mostra la sua determinazione a governare lo stato nel rispetto della giustizia, convinto che il signore della città debba eliminare i favoritismi personali e attenersi alle decisioni migliori. Il suo provvedimento non è del tutto privo di giustificazioni: anche il diritto attico del V sec. negava ai traditori la sepoltura nei confini della patria, permettendo però ai congiunti di seppellirne le spoglie in terra straniera;. Ma lerrore più grave di Creonte non è tanto quello di aver travalicato, commettendo così una brise dimenticando leuboulía, la saggezza (vv. 1050, 1098); più grave è il fatto che difenda la sua decisione, rendendo il suo errore irrimediabile, quando gli viene offerta la possibilità di riflettere sui suo comportamento.
Di fronte alle parole di Creonte il Coro mostra una rassegnata ubbidienza. I vecchi di Tebe, che lo formano, hanno mostrato unammirevole fedeltà ai vari re che si sono alternati sul trono di Tebe. Creonte conosce ununica parola: obbedienza assoluta alle leggi della città, e non ammette che queste possano essere in disaccordo con la legge divina: il comportamento di Antigone è, agli occhi del Coro, più colpevole di quello di Creonte.
Antigone,invece, non ha tratto dalla sua genialità l’acuta percezione del bene e del male, bensì da una sofferta maturazione, al termine della quale sente le leggi di Dike come lunica verità che possa guidare il cammino delluomo. La legge della giustizia è eterna: ogni uomo la trova scritta dentro di sé, ed abbraccia ogni parte del cosmo, il mondo dei vivi come quello dei morti. La consistenza del suo vivere è ora soltanto nel mettere in pratica queste leggi, fosse pure a rischio della propria vita.

tratto da articolo di Moreno Morani su zetesis




L’Antigone di Brecht

Una famosa Antigone del ‘900 è quella presente nell’opera di Brecht del 1954. Durante il Nazismo, Brecht sente il bisogno di prendere le distanze da una lingua retorica e politica per denunciare temi di bruciante attualità, come la guerra e la necessità di seppellire i morti. Il problema è utilizzare una lingua che ormai è sentita come occupata dal nazismo. Come tutti i regimi totalitari il nazismo era stato fortemente invasivo nei confronti del linguaggio: non è un caso che molti intellettuali ebrei non scrivessero più in tedesco. Aveva tradotto dunque l’Antigone con un linguaggio per certi versi aspro, ma che non richiamava all’orecchio la retorica nazista. L’autore non si può accontentare di una semplice rievocazione: subito c’è la dichiarazione di attualizzazione; nel prologo c’è la scritta Berlino 1945. Brecht rielabora il testo, qui i due fratelli non si uccidono a vicenda, ma uno dei due che ha abbandonato la guerra, è un disertore e viene ucciso da Creonte, proiezione storica di Hitler. Vengono presentate diverse posizioni nei confronti della guerra: accanto al soldato, troviamo il partigiano e il disertore. Quest’ultimo di solito non ha molto credito: Brecht cerca di recuperare questa figura come forma della resistenza.

Polinice non viene sepolto in quanto disertore, mentre Creonte decanta la guerra, usa un linguaggio classico, aulico. Riprende Sofocle, ma con una vena di volgare venalità, tanto che Creonte diventa inquisitorio e usa termini tipici della Gestapo.  Da un lato, quindi c’è una continua allusione al nazismo e dall’altro un incessante recupero della dimensione poetica.
La differenza più importante è che i fratelli non si sono uccisi tra di loro e che entrambi, in un primo tempo, avevano partecipato alla guerra.
Dà una sua interpretazioni del nazismo: Hitler era un folle e tutti gli sono andati dietro, quindi  coinvolgimento di tutti e non demonizzazione di uno solo.
Il coro dei vecchi rappresenta coloro che non solo non si sono ribellati ma che, quando avevano il potere, avevano appoggiato Hitler. Per Sofocle invece i vecchi erano simbolo di saggezza. 
Per il resto, Brecht tiene invariate molte delle battute e per alcune si affida alla traduzione di Hölderlin, come per richiamare la sua giovinezza, in cui la Germania era di sani principi.







LA TRAGEDIA DI ANTIGONE NEI SECOLI

Il personaggio di Antigone può essere paragonato a quello di Ulisse: esso attraversa la storia nelle più diverse letterature che riprendono la sua storia.
Antigone, ancora oggi, è presente tutte le volte in cui il conflitto fra dovere e ribellione, legge morale, valori assoluti e responsabilità politica divampa con bruciante violenza e attualità.

Le storia di Antigone è una tragedia (ossia non solo una storia in cui permane immenso dolore, ma la narrazione di un conflitto nel quale non si può agire senza essere, in un modo o nell’altro, colpevoli).
Questo conflitto è rappresentato dallo scontro tra valori “caldi” (l’affetto, l’amore, la passione, l’amicizia), quelli di Antigone, per i quali ci si commuove, e i valori “freddi” (della legge, della democrazia, della politica) quelli di Creonte.
Spesso ci si dimentica che proprio i valori così definiti “freddi” ci permettono di coltivare quelli “caldi”, poiché senza le gelide norme di leggi, il mondo sarebbe preda della violenza del più forte, dell'ingiustizia senza freni, della disuguaglianza più grande.

Creonte nella tragedia infatti non è rappresentato come un dittatore assetato di potere, stratega e non tiranno. Nelle numerose rielaborazioni dell’età(….) sarebbe disposto addirittura a far fuggire di nascosto Antigone.
Egli non si preoccupa dei valori morali, ma della responsabilità politica nei confronti della comunità, che deve esercitare per mantenere l’ordine.
E’ quindi ovvio che non sia il classico personaggio amato dal pubblico e si perda di fronte alla grandezza di Antigone.



Creonte ha un ruolo rilevante nell’elaborazione dell’autore Félix Morisseau-Leroy, scrittore haitiano, nel 1953 (periodo storico turbinoso e sanguinoso della storia di Haiti, primo stato nero indipendente).
Egli pubblicò l’ Antigòn an Kreyòl, seguita pochi anni dopo da Re Creonte, Wa Kreon. Le due tragedie sono scritte in creolo, lingua franca-africana degli schiavi neri e dei loro padroni bianchi, una sorta di distorsione di varie lingue, che si è tramutata nel linguaggio popolare.

Nell’Antigone I nomi dei personaggi sono uguali a quelli della tragedia greca ma l’ambiente è differente: Tebe è sostituita da un villaggio dei Caraibi, mentre la vicenda è analoga.
Il ruolo tradizionale del Nunzio è assunto dal narratore che raccontava agli schiavi le storie e le tradizioni del loro mondo perduto, salvandolo dall'oblio e trapiantandolo in un mondo diverso.
Differenti sono gli dei: non sono le divinità dell’olimpo greco ma quelle del Vodù.
Questo mondo divino differente fa sì che l’Antigone creola non sia una vera e propria tragedia. Non perché non ci sia colpa, ma perché non vi è sostanzialmente la morte, di conseguenza la colpa perde gran parte del suo peso.
Ciò accade poiché nel mondo Vodù la morte non è percepita come fine della vita terrena, come una sorta di negazione, privazione.
I vivi e i morti convivono familiarmente, interagiscono tra loro nel bene e nel male, quindi i morti non sono né spariti né assenti. Antigone e l'amato Emone, dopo l'esecuzione dell'una e il suicido dell'altro, vivono in una sorta di ebbrezza felice; di conseguenza una tragedia che finisce in qualcosa di simile alla felicità non può essere definita tale.


Differente è Il Re Creonte, dal punto di vista poetico inferiore al precedente più moderna (Creonte uccide i veri o presunti nemici a colpi di pistola).
Nelle varie rielaborazioni della tragedia greca è compreso per le sue motivazioni ma non è mai vero protagonista tragico, una figura complessa, devastata interiormente.
Il dramma comincia con il risveglio di Creonte, un oblio cercato in un coma profondo. Egli ha dormito a lungo per la morte non voluta di Antigone pur dipendente dalle sue azioni, nel tentativo di soffocare il disagio, il rimorso, l’infelicità.
Creonte non fa più i conti con la realtà, vive la sua esistenza, spesso oscura, e intorno a lui la corte è intrisa di intrighi, sospetti, tradimenti e delitti.

In questo dramma, come in quello precedente è presente Tiresia, come simbolo dell’inutilità di prevedere il futuro, che strazia e schiaccia qualsiasi individuo che lo conosca o che lo ignori.

Siracusa 2017

In occasione del viaggio di istruzione a Siracusa per le rappresentazioni classiche al teatro greco ,  gli studenti della V B e della V Alp...