venerdì 5 maggio 2017

FUNZIONE DELLA TRAGEDIA GRECA
La tragedia greca ha come suo scopo fondamentale  il tentativo di inquadrare razionalmente fatti e vicende oltremodo problematici, interpretandoli alla luce di ideali, valori, schemi e modelli di comportamento esemplari (sia nel bene sia nel male) e di  impressionare emotivamente il pubblico, suscitando forti emozioni.
Aristotele
Il primo studio critico sulla funzione della tragedia è contenuto nella Poetica di Aristotele. Egli afferma: "La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta [...] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni" Quindi,  gli eventi terribili che si susseguono sulla scena fanno sì che lo spettatore da un lato si immedesimi nell'eroe tragico attraverso il "pathos", dall'altro ne condanni la malvagità o il vizio. Questo processo di purificazione viene chiamato "catarsi".

Occorre aggiungere, però, che la tragedia e il teatro in genere hanno rappresentato nel mondo greco un'esperienza sicuramente diversa e di più vasta portata di quanto avviene nel mondo di oggi. Anzitutto il teatro  si rivolgeva ad una collettività e non al singolo individuo e presupponeva quindi una partecipazione comunitaria e diretta, fondata sull'esperienza visiva e uditiva, non mediata dalla lettura. Inoltre, la finalità di spettacolo (valore estetico/artistico), oggi prevalente, si accompagnava a quella religiosa (i Greci sentivano di partecipare ad un rito, più che ad uno spettacolo), a quella politica (gli spettacoli erano organizzati dallo stato, che vi annetteva una fondamentale funzione educativa, attraverso la riflessione e la partecipazione dei cittadini ad un'esperienza comunitaria) e a quella agonistica, così caratteristica della mentalità greca (la competitività veniva espressa e ratificata in forme costruttive e condivise e sanzionata con un esito pubblico).


RELAZIONE TRA TRAGEDIA E MITO
Il teatro greco di Siracusa
Occorre infine approfondire quale sia stato il rapporto  tra la tradizione mitico-religiosa e la tragedia, in quanto essa ripropone e riplasma il materiale mitico ereditato dal mondo arcaico:  i contenuti delle opere attingevano infatti ad un patrimonio di racconti mitici tradizionali. 
Quando la rappresentazione tragica si afferma e diventa prerogativa dello Stato in Atene, il mondo del mito è già sentito come distante, ma non per questo esso è vissuto come estraneo o insignificante. I Greci, almeno per tutta la prima metà del quinto secolo a.C., continuano a percepire il mito come un elemento costitutivo della loro identità collettiva, un passato in cui il presente affonda le sue radici. Ciò rende possibile, nella tragedia, la riattualizzazione del mito stesso e dei suoi significati. Gli eventi rappresentati sulla scena sono vissuti come contemporanei da chi li interpreta e da chi li contempla. 
Cratere con Antigone che copre il corpo di Polinice
Il giuramento dei sette capi
Certamente, nella tragedia, il rapporto col mito è di carattere problematico: è una sorta di filtro attraverso il quale lo spettatore è chiamato a riflettere e a interrogarsi su valori, credenze, istituzioni, sulla sua stessa esistenza. È dunque di grande importanza la figura dell’eroe mitico, di cui nella tragedia si fanno rivivere le peripezie e le sofferenze. L’eroe mitico è in se stesso problematico: vivono in lui qualità opposte: coraggio, fermezza, capacità di soffrire, ma anche violenza, follia, orgogliosa tracotanza (ύβρις). Protagonista di un mondo arcaico, che non ha nulla più a che vedere con quello della polis, l’eroe offre tuttavia allo spettatore un esempio paradigmatico della condizione umana.  La tragedia, inoltre,  si differenzia dal mito per un tratto sostanziale: nel mito lo scontro é nel mondo divino, nella tragedia, invece, il piano si sposta sulla violenza tra Dei e uomini e degli uomini tra loro stessi. 

D. Del Corno, "Letteratura greca", Principato, 1992

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